INTERVISTA SU www.buongiornosuedtirol.it (di Ivan Perretta)
Elena Lupo, Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Biosistemico, esercita l’attività clinica a Bologna e si occupa di Alta Sensibilità dal 2013 con un approccio e una formazione in ambito mente-corpo. I suoi settori d’azione sono principalmente l’Ansia e Umore, nonché la Psicosomatica, la Psicologia Ospedaliera, la Promozione della Salute e Sostegno nella malattia e altri. Abbiamo contattato la dottoressa Lupo per conoscere più dettagliatamente il tratto caratteriale dell’ipersensibilità.
Può spiegare ai nostri lettori che cos’ è, in breve, magari quali sono i tratti, dell’ipersensibilità?
L’ipersensibilità, o meglio detta ALTA SENSIBILITÀ (High Sensitivity) è un tratto di personalità dimostrato dalla fine degli anni ’90 dalla dott.ssa Aron in California e approfondito in ambito genetico, neuroscientifico ed evoluzionistico, e rappresenta una variabilità nei meccanismi di sopravvivenza in ogni specie animale. Ha una componente ereditaria e si manifesta sin da bambini. Le Persone Altamente Sensibili sono caratterizzate da una maggiore profondità di elaborazione degli stimoli esterni e interni, e costituiscono il 20% della popolazione, nella medesima proporzione uomini e donne.
Che consigli darebbe, eventualmente, su come gestire/migliorare questo surmanage di stimoli sensoriali? Magari a chi ha scoperto da poco la propria ipersensibilità?
Vivere da Altamente Sensibile significa vivere in modo particolarmente profondo, emotivo ed empatico tutto ciò che ci accade e avere bisogno di strategie per non sentirsi schiacciati. Queste strategie riguardano ad esempio il rispettare di più i propri limiti, dire più spesso “no” alle richieste, alle aspettative, alle situazioni che sappiamo ci metteranno sotto stress. Riguardano in generale il riconoscere e rispettare di più i nostri bisogni, essere più autentici e diretti nella comunicazione, prendersi la responsabilità dei cambiamenti di cui abbiamo bisogno per alleggerirci, piuttosto che lamentarsi di come ci “trattano” gli altri o di cose che ci sentiamo “costretti” a sopportare.
Lei è psicoterapeuta a indirizzo sistemico da diversi anni e conosce questo tratto da 5 anni, secondo la sua esperienza, quali consigli darebbe alle neo-mamme e in genere ai genitori che notano una o più di queste caratteristiche nei loro figli?
Sono in effetti una terapeuta ad indirizzo Biosistemico, ovvero un approccio integrato che considera corpo, mente, relazioni, gruppi, società come parte di un unico bio-sistema, e nella mia esperienza ad oggi in particolare con le famiglie di bambini altamente sensibili posso dire di aver imparato molto grazie a loro, tanto da averci scritto un libro “Il tesoro dei bambini sensibili”. L’educazione è la base dei più grossi cambiamenti sociali, e confido profondamente nella diffusione di questa conoscenza proprio soprattutto rispetto ai contesti educativi. Ogni famiglia poi è diversa, ogni bambino è diverso, e le strategie saranno da valutare caso per caso, ma in generale il più importante suggerimento è: informatevi, leggete, consultate un professionista informato, per riuscire a comprendere meglio il loro funzionamento e alla fine a capire che i vostri bambini vanno semplicemente accettati come sono, valorizzati nelle loro parti sensibili (sia le femmine che i maschi), e protetti dalle aspettative imposte dagli “standard” sociali, riguardo la performance, il giudizio, la competizione, che purtroppo con la sensibilità hanno poco a che fare.
Da quanto mi risulta dai suoi video sul canale – come l’intervista “Torino spiritualità” in “Il posto delle parole” che ho seguito con molto interesse – mi sembra che Lei abbia molto a cuore la divulgazione di questa “nuova” scoperta, cosa la spinge a ciò?
Questa è sicuramente la mia domanda preferita. Ho estremamente a cuore questa divulgazione e posso letteralmente dire di aver dedicato gli ultimi 5 anni della mia vita, professionale e personale, a questo, e di volerlo continuare a fare finché mi sarà possibile. Perché io stessa sono una Persona Altamente Sensibile (PAS) e quando 5 anni fa lessi il primo libro di Rolf Sellin sull’argomento questa nuova consapevolezza cambiò profondamente ogni dettaglio della mia vita, del mio rapporto con me stessa e con gli altri. Il sollievo esistenziale che ho provato, e che rivedo in ogni persona che incontro o che mi contatta perché viene a conoscenza di questa caratteristica, è qualcosa di eccezionale e prezioso. E visto che in Italia allora non esisteva quasi niente su questo argomento, era ancora sconosciuto quasi completamente, decisi di contattare direttamente la dott.ssa Aron per essere formata da lei. E così, dopo tanti anni di studi, due viaggi in California e uno in Inghilterra, questa primavera sono diventata sua referente scientifica ufficiale in Italia come Advanced Training HSP Consultant, e continuerò a fare tutto il possibile per aiutarla a divulgare le sue ricerche.
Le sembra possibile oggi o un domani una convivenza pacifica fra normopensanti e iperefficienti se mi passa queste definizioni anche nel nostro Paese?
Questa invece è una domanda trabocchetto, se mi passa il termine.
L’approccio che io ho scelto rispetto a questo tratto, in linea con quello della dott.ssa Aron, è di non considerare affatto l’alta sensibilità come un super potere o qualcosa che ci rende superiori o inferiori in qualche modo agli altri. È una delle tantissime caratteristiche che si possono ereditare, e la sua integrazione dipende molto anche dall’educazione, dalla storia familiare e culturale. Non esiste un altamente sensibile uguale a un altro, e in generale non esiste un essere umano uguale a un altro. Quindi direi che il problema si possa intendere in senso più allargato, ovvero cosa possiamo fare per rendere possibile la convivenza delle diversità in generale, il diritto ad esistere con le proprie caratteristiche senza per forza adeguarsi agli standard culturali (ad esempio scolastici) su cosa significhi essere un “uomo”, essere “una donna”, essere “performanti” “competitivi” “veloci” “conformi”. Integrare una maggiore sensibilità nelle nostre vite quotidiane non è appannaggio delle PAS, ma della società intera. Allenarci tutti ad essere più aperti, più comunicativi, più empatici, più autentici, più accoglienti, più “umani”
Elena Lupo